Menu principale:
Avvenimenti
Il gesuita del cinema
Padre Angelo Arpa. Interessato a tutto e a tutti, rivelava, nei colloqui e negli scritti, un animo libero che non lo metteva mai comunque in contraddizione con l’abito che indossava
di Gian Luigi Rondi
Il cinema, ma anche la cultura, debbono molto al padre Angelo Arpa, il religioso gesuita morto di recente all’età di novantaquattro anni.
Io l’ho conosciuto negli anni Cinquanta quando tenevo dei corsi di cinema per gli studenti ecclesiastici dell’Università Gregoriana e li proseguivo, con proiezioni e dibattiti, nello scolasticato dei Gesuiti a piazza del Gesù. Colto, profondo, interessato a tutto e a tutti, rivelava, nei colloqui e negli scritti, un animo libero che non lo metteva mai comunque in contraddizione con l’abito che indossava e con le regole che la Compagnia di Gesù, in cui era entrato ventenne, gli aveva dato.Viveva e operava a Genova dove insegnava filosofia all’istituto Arecco e dove fu tra i primi a sostenere e a diffondere quell’esperimento del cineforum avviato a Roma dal domenicano padre Morlion e da me portato avanti, come presidente, in quello stesso periodo. Dal ’60 al ’65 gli vidi organizzare in Liguria una rassegna interamente dedicata al cinema latinoamericano, la prima in questa ottica in Italia, cui fece presto seguire una delle sue iniziative maggiori, la creazione di quella Fondazione Columbianum con cui, oltre a continuare a occuparsi dei problemi culturali e sociali dell’America Latina, estendeva la sua sfera d’azione anche all’Africa «lasciata» diceva «in un abbandono vergognoso».Intanto, però, mio fratello Brunello, che, come me, lo stimava e lo rispettava, ebbe occasione di fargli conoscere Federico Fellini di cui era collaboratore e da quel giorno del 1954 tra lui e Fellini si strinse un legame interrotto solo dalla morte di quest’ultimo.
Padre Angelo Arpa
Un legame, appunto, che non tardò a confermare quanto il cinema e soprattutto quello di Fellini, dovessero a padre Arpa. Si sa già molto di questo rapporto, specie per quelle circostanze che videro padre Arpa prendere le difese di Fellini e dei suoi film anche quando in tanti vi si schieravano contro. Era molto ascoltato dal cardinale Siri, allora arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale italiana, e non esitò così in varie occasioni a rivolgersi a lui per sostenere un autore di cui non solo era diventato amico ma che stimava al massimo. La prima volta fu nel ’57, per Le notti di Cabiria, osteggiato anche in molti ambienti cattolici. Dopo una proiezione privatissima in arcivescovado, il cardinale rassicurò padre Arpa che, a sua volta, rassicurò Fellini e dopo tutto filò liscio.
Un’impresa più difficile fu quella di tre anni dopo, quando Fellini, con La dolce vita, si trovò nell’occhio del ciclone, biasimato dall’Osservatore Romano e aggredito dalle destre. Anche questa volta il cardinale Siri prese le difese del film, alcuni scrittori gesuiti (padre Nazzareno Taddei su Letture) non risparmiarono consensi ben soppesati e meditati, ma ci volle tempo prima che il clamore e le molte riserve ufficiali si calmassero. Si leggano i retroscena di quell’episodio nell’ultimo libro di padre Arpa pubblicato nel ’96, L’arpa di Fellini. Insieme con altri argomenti (“Fellini persona e personaggio”, “Sesso e sessualità in Fellini”) c’è un capitolo intitolato “La dolce vita: cronaca di una passione”, che padre Arpa, con segreta ironia, sottotitolò “Pandemonio politico, religioso e culturgle che la creatura felliniana scatenò nella Roma degli anni Sessanta”.
Si chiariranno molti equivoci.Del resto sono tanti i libri di padre Arpa che dovrebbero esser letti da tutti, specie adesso che si parla con decisione di Europa: Papi e papato al terzo millennio dell’era cristiana, ad esempio; e anche Progetto Europa (progetto filosofico operativo sulla storia dell’Europa culturale). Libri di cui, prima di morire il 27 marzo di quest’anno, padre Arpa donò tutti i diritti a quella Fondazione interregionale Europa e comunità mondiale che aveva fortemente voluta e poi alimentata con idee sempre nuove.
Padre Angelo Arpa raffigurato in una vignetta di Federico Fellini
Dobbiamo a quella Fondazione se si è visto pubblicato per intero il suo cammino culturale e operativo, dagli esordi alla sua sempre feconda attività anche negli ultimi anni. Il testo, cui hanno posto mano molti suoi estimatori e amici, si intitolerà allegoricamente Io sono la mia invenzione e conterrà anche numerose, autorevoli testimonianze di personalità a lui vicine, sia pure solo idealmente. Ho letto quella scritta a Gerusalemme dal cardinale Martini. Riassume in modo esemplare gli stessi sentimenti che provano tuttora quanti di noi hanno avuto la fortuna provvidenziale di essere amici di padre Arpa, il gesuita del cinema.