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Recco
1946 1948
Si ricostruisce il Ponte
Subito dopo la guerra si pensò subito alla ricostruzione del ponte ferroviario, il quale, causa della distruzione della città, doveva diventarne il simbolo della sua rinascita.
Si costrui dapprima, un ponte provvisorio in legno che restò in funzione fino all' 11 Agosto 1948 quando fù inaugurato dal Ministro Tupini l'attuale ponte in cemento armato.
Nella prima foto si può vedere il legname da costruzione e sul fondo i primi metri del ponte provvisorio. Nelle foto successive l'intero ponte ripreso da più angolazioni.
L'attraversamento del ponte da parte del treno avveniva a passo d'uomo e provocava rumori poco rassicuranti che suscitavano ansia nei viaggiatori.
Successivamente iniziò, accanto al ponte provvisorio, la costruzione del ponte definitivo in cemento armato a cura della Ditta Lodigiani.
Una Testimone di quei giorni: Mercede Capurro
«Non c'era nessuno che facesse il pane. C'erano tanti operai che avevano iniziato la costruzione del ponte ferroviario di legno. Un po' di pane arrivava a Recco in tarda mattinata da Genova e la gente protestava.
A questo punto io, mio fratello Amedeo e mio cognato Umberto Mammi, cercammo un locale a Recco. Trovammo un vero buco nei fondi di una casa sinistrata in via Olivari. Apparteneva al pasticciere Ageno che gentilmente ce lo concesse. Era il suo antico forno, piccolo, ma ancora in buone condizioni. Se lo riattate, mi disse il vecchio Ageno, lo userò un po' anch'io e per affitto mi darete quanto serve per acquistarmi un sigaro al giorno.
Mancavano l'acqua e la luce. Per la prima provvide il Comune, per la seconda ci allacciammo ad un bar vicino. Sotto le macerie del mio vecchio forno avevamo ritrovato la nostra impastatrice. Ci volle un mese per avere la corrente industriale per farla funzionare e così, il primo mese, impastammo il pane a mano. Nello stesso vicolo, di fronte, c'erano i locali di una vecchia osteria che vennero utilizzati per la vendita del pane. Il lavoro iniziò nell'agosto del 1945. Il paese era ancora spopolato. Gli unici negozi aperti erano il nostro ed il bar denominato dei tre ladroni.
Era difficile trovare chi desse una mano anche per i lavori più semplici. Ed era anche pericoloso viverci perché Recco era diventata mèta di giorno di gente di ogni risma, borsari neri e avventurieri, trafficanti, mentre di notte tornava deserta. C'era anche il pericolo di crolli dei pochi muri rimasti in piedi. Più volte fummo sollecitati dall'ingegnere del Comune a sloggiare il locale di vendita... una volta crollò una casa vicina e tutto il nostro locale fu pieno di calcinacci e di macerie. Per un giorno non si fece il pane, ma si sgomberarono i detriti. Per fortuna il crollo era avvenuto di notte e non ci furono guai per le persone.
Lavorammo per sette anni in quelle condizioni, fin quando, nel 1953 ci trasferimmo in un negozio nuovo sotto i portici di via Biagio Assereto».
Le testimonianze presentate sono state tratte da L'ardiciocca; a compagnia di recchelin, anno 3° n.3, 1993.
Mercede Capurro